Da dove nascono la guerra, l'avidità, lo sfruttamento, l'insensibilità alle sofferenze altrui? E qual è l'origine della disuguaglianza, ormai riconosciuta come uno dei problemi più drammatici e radicati del nostro tempo? Da secoli, le risposte a queste domande si limitano a rielaborare le visioni contrapposte dei due padri della filosofia politica: Jean-Jacques Rousseau e Thomas Hobbes. Stando al primo, per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani hanno vissuto in minuscoli gruppi ugualitari di cacciatori-raccoglitori. A un certo punto, però, a incrinare quel quadro idilliaco è arrivata l'agricoltura, che ha portato alla nascita della proprietà privata. Poi sono apparse le città, e con esse si è affermata l'organizzazione fortemente gerarchica di quella che chiamiamo «civiltà». Per Hobbes, al contrario, la necessità di imporre un rigido ordine sociale si è imposta per contenere la natura individualista e violenta dell'essere umano, altrimenti sarebbe stato impossibile progredire organizzandosi in grandi gruppi. …
Da dove nascono la guerra, l'avidità, lo sfruttamento, l'insensibilità alle sofferenze altrui? E qual è l'origine della disuguaglianza, ormai riconosciuta come uno dei problemi più drammatici e radicati del nostro tempo? Da secoli, le risposte a queste domande si limitano a rielaborare le visioni contrapposte dei due padri della filosofia politica: Jean-Jacques Rousseau e Thomas Hobbes. Stando al primo, per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani hanno vissuto in minuscoli gruppi ugualitari di cacciatori-raccoglitori. A un certo punto, però, a incrinare quel quadro idilliaco è arrivata l'agricoltura, che ha portato alla nascita della proprietà privata. Poi sono apparse le città, e con esse si è affermata l'organizzazione fortemente gerarchica di quella che chiamiamo «civiltà». Per Hobbes, al contrario, la necessità di imporre un rigido ordine sociale si è imposta per contenere la natura individualista e violenta dell'essere umano, altrimenti sarebbe stato impossibile progredire organizzandosi in grandi gruppi. Quasi tutti conoscono queste due storie alternative, almeno nelle loro linee generali: riassumono le idee più diffuse sulla storia dell'umanità e la sua evoluzione, e hanno contribuito a definire la nostra visione del mondo. Ma pongono anche un problema: entrambe dipingono la disuguaglianza come una tragica necessità; un elemento che non potremo mai cancellare del tutto, in quanto intrinsecamente legato al vivere comune. Una visione che non convince affatto gli autori di questo libro, decisi a gettare nuova luce sul passato della nostra specie. In una sintesi tanto meticolosa quanto di largo respiro, che coniuga i risultati delle ricerche storiche e archeologiche più recenti al contributo di pensatori provenienti da culture diverse da quella occidentale, il sociologo David Graeber e l'archeologo David Wengrow ci raccontano una storia diversa – più articolata e ricca di chiaroscuri – dell'evoluzione sociale dell'Homo sapiens. Una storia illuminante e attendibile, dalla quale ripartire per provare a immaginare un futuro diverso.
Only "epic" will suffice. David & David tear apart the myth of historical destiny so thoroughly you'll be wondering how people entertained such insultingly simple anthropology beforehand. The book reveals political turmoil of all kinds through all ages of history. From democracies to dynasties, humanity is complex, treat it as such.
A tale of two David's: Graeber's final book, co-authored with Wengrow, is an epic volume of archaeology and anthropology that decentres and challenges accepted patterns of western thought that many social scientists present as facts. In particular, the authors take aim at books like Sapiens by showing how they proliferate accepted but unproven myths about human behaviour without following the evidence. As a book of critique and challenge, it is funny, thoughtful, and sharp. Some of the ideas, such as that the European idea of democracy may have originated from colonised Native American cultures, are radical but well argued.
Despite this, there are some flaws. A couple of chapters run far too long with too much repetition, and the scope of societies that are used to construct the arguments is limited. Also, there is a repeated insistence of humanist thought, dismissing animal or nonhuman relationships as unrelated to the story. …
A tale of two David's: Graeber's final book, co-authored with Wengrow, is an epic volume of archaeology and anthropology that decentres and challenges accepted patterns of western thought that many social scientists present as facts. In particular, the authors take aim at books like Sapiens by showing how they proliferate accepted but unproven myths about human behaviour without following the evidence. As a book of critique and challenge, it is funny, thoughtful, and sharp. Some of the ideas, such as that the European idea of democracy may have originated from colonised Native American cultures, are radical but well argued.
Despite this, there are some flaws. A couple of chapters run far too long with too much repetition, and the scope of societies that are used to construct the arguments is limited. Also, there is a repeated insistence of humanist thought, dismissing animal or nonhuman relationships as unrelated to the story. This seems to reinforce another myth of exceptionalism and also ignores many of the beliefs and philosophies of the same cultures that are held up as examples in the book.
Despite these flaws, the challenges and ideas are well worth reading and considering in a frame of knowledge, and the writing (particularly Graeber's signature biting wit) is excellent.
the main thesis of this book is an attack on the just-so story of how civilizations always progress through hunter-gatherers to agriculture and urbanism followed by a "modern" state. it builds this thesis very thoroughly.
an extremely important and well-written sholarly book.